Oi Daimones

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OI DÁIMONES (I demoni)

Suoni Danze Suggestioni per sette carnevali arcaici e narratore

Produzione (2006)

Istituto Culturale Ladino

Trentino Spa

Regione Trentino Alto Adige/Südtirol


Narratore                                    Andrea Brunello

Testi                                              Cesare Poppi

Aiuto regia                                  Piero Carotta

Luci                                               Alessandro Bigatti

Fonica                                          Max Gulinelli

Organizzazione                      Neuma Media

Live performances:

Mamuthones, Issohadores         Mamoiada (NU)

Cotzulados                                        Cuglieri (OR)

Laché, Bufòn, Marascòns             Val di Fassa (TN)

Arlechìni, Matòci, Paiàci               Valfloriana (TN)

Bej, Sapoeur, Carlisep                  Schignano (CO)

Pust, Blùmari                                    Val Natisone (UD)

Laché                                                    Romeno (TN)

Jocul caprei                                       Cluj-Napoca (Romania)

Corpo bandistico                             Romeno (TN)

Ideazione e Regia

Renato Morelli

Sinossi – Presentazione

Lo spettacolo teatrale Oi Dàimones (I Demoni) nasce come evento promozionale della grande mostra tematica Carnascèr dalle Alpi al Mar Nero: alle radici del Carnevale, organizzata in Val di Fassa (dal 23 luglio al 3 settembre 2006) dal Museo Ladino di Fassa, in occasione del 30° anniversario della fondazione dell’Istituto Culturale Ladino.

 L’idea centrale di Oi Dàimones è quella di “paracadutare” sul palcoscenico di un teatro storico (come appunto il Sociale di Trento) le performances rituali di alcuni straordinari carnevali arcaici italiani: una collocazione volutamente “decontestualizzata”, lontana dalle vallate appartate e dagli ambiti etnografici autentici di questi rituali, ma nello stesso ideale per sintetizzare in un tempo “drammaturgico” quell’esplosione di colori-suoni-gesti-suggestioni che – parafrasando il Toschi – ci riporta direttamente alle origini del teatro italiano.

Un impatto forte, sia dal punto di vista visivo che emozionale, costruito sulla giustapposizione fra una selezione di testi relativi al Carnevale (alle Maschere ed alle Mascherate) elaborati dalla cultura “alta” e l’irruzione sul palcoscenico dei protagonisti autentici di sette carnevali, scelti fra i più significativi della tradizione popolare Sarda, Lombarda, Trentina, Ladina e Slovena.

Lorenzo il Magnifico e i Matòci di Valfloriana, Rabelais e i Pust sloveni, Du Cange e il Bufòn fassano, Piero Camporesi e i Blumari di Montefosca, l’editto di Rotari e i Bej di Schignano, Frate Licardone e i Laché di Romeno, Paolo Toschi e i Mamuthones di Mamoiada.

I testi narrati introducono l’esibizione delle maschere e con questa entrano in una sorta di dialogo drammatico; inquadrano l’esibizione dei singoli gruppi e fungono da suggerimenti per l’interpretazione di quanto avviene sul palco da parte dello spettatore.

L’alternanza fra testi “dotti” ed azioni rituali stimola altresì una riflessione sul rapporto fra i livelli di cultura espressi delle pratiche di tradizione orale e dalle corrispondenti elaborazioni letterarie.

Testi liberamente tratti da:

Voce Carnis Levamen Du Cange, C., Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis (1688)

Legge n.376, Editto di Rotari (643)

Lorenzo il Magnifico (1449-1492), Canti Carnascialeschi: VII Canzona di Bacco

Predica del beato Carlevale devotisima composta par el famoso et excellente Frate Licardone…(1513)

Rabelais, F., Gargantua e Pantagruele (1542)

Definizione di Matachin, Francisco de Alcocer (1599)

Giulio Cesare Croce, Sbandimento esamine e processo al fraudolente, insolente, et prodigo Carnevale…(1624)

Bonaventura Licheri, Gurulis Nova S.Antoni in s’ierru (1773)

Toschi, P., Origini del Teatro Italiano (1955)

Camporesi, P., La Maschera di Bertoldo (1976)

Live performances:

Mamuthones, Issohadores   Mamoiada (NU)

Le maschere più famose della Sardegna.

“Nati in tempi remoti, come attori attivi nei riti pagani, sono sopravvissuti a tutt’oggi con tutto il loro fascino e mistero. Quella dei Mamuthones, è una cerimonia solenne, ordinata come una processione, che è allo stesso tempo una danza.  I Mamuthones si muovono su due file parallele, fiancheggiati dagli Issohadores, molto lentamente, curvi sotto il peso dei campanacci e ad intervalli uguali dando tutti un colpo di spalla per scuotere e far suonare tutta la sonagliera. Gli Issohadores si muovono con passi e balzi più agili, poi all’improvviso si slanciano, gettano il laccio (Sa Soba) fulmineamente e colgono e tirano a sè come un prigioniero l’amico o la donna che hanno scelto nella folla”. (R. Marchi, 1951)

Cotzulados   Cuglieri (OR)

Bonaventura Licheri (il grande poeta sardo, autore della celebre Ave Maria sarda) descrive nel 1773 Sos Cotzulados le maschere di Cuglieri ricoperte di conchiglie: De peddes tramudados, de igu e de murone, de craba e de matzone, biancos che lizos. Cun d’unu corru in chizos, Presu a pedde crua, e sa garriga sua, denant’ e a pala. Bessin dae dogn’ala, cun cotzulas ligadas, andan’a iscutuladas, a mod’insoro. Terra chi paret oro, giughene pro caratza, parent atera ratza, in custu ballu. (Vestiti di pelle di vitello, di muflone, di capra e di volpe, bianchi come gigli. Con un corno in fronte tenuto da pelle cruda e un carico davanti e dietro. Escono da ogni angolo, con conchiglie legate e procedono scuotendo il corpo, secondo il loro costume.). Questa poesia, ritrovata recentemente, ha permesso di ricostruire queste maschere arcaiche, da tempo cadute in disuso. In Oi daimones vengono presentate per la prima volta.

Pust, Blumari Val Natisone (UD)

Il Pust (carnevale) esplode in alta Val Natisone con l’aggressione del gruppo mascherato, alle piccole frazioni abitate del paese. A Rodda per un corteo mascherato è indispensabile il gruppo di maschere “guida” formato dai Pust (“Carnevali”) e dalla coppia Angelo – Diavolo (Agnulaz-Zludi’). L’organizzazione è affidata ai “coscritti” ed ai maschi celibi. A Mersino il ruolo principale spetta alla grande maschera del “Gallo”, al quale recentemente si è unita anche la “Gallina”. Altra presenza indispensabile sono le Lipe (le belle) caratterizzate dagli abiti colorati e dal cappello fiorito. A Montefosca i Blùmari (maschi e celibi) percorrono correndo l’itinerario tradizionale che attraversa e racchiude le due frazioni del paese, un numero di volte tante quante sono le maschere partecipanti.

Arlechìni, Matòci, Paiàci Valfloriana (TN)

Il corteo mascherato, itinerante attraverso le tredici frazioni del comune, prevede una serie di maschere guida: i Matòci, gli Arlechìni, la coppia di Spòsi con la Bèla, i Paiàci. I Matòci – detti anche barba (scapolo) – sono i primi ad arrivare in paese. Vengono sottoposti dai paesani al contrèst (contrasto-contradditorio), una serie incalzante di domande mirate a scoprirne identità e provenienza. Il tentativo però risulta difficile, anche perché I Matòci rispondono solamente con la voce alterata in falsetto, modificata ulteriormente dalla maschera lignea (facéra). Arrivano quindi gli Arlechìni che eseguono la loro danza tradizionale,volteggiando con grazia i fazzoletti colorati che tengono fra le mani. Il corteo nuziale con le Bèle viene chiuso dai Paiàci con le maschere lignee da “brutto”.

Laché Romeno (TN)

L’aspetto più significativo del costume del Lachè è rappresentato dall’alto cappello conico, completamente rivestito di ori e gioielli; un tempo venivano chiesti in prestito alle fidanzate in cambio di un ballo. Sulla sommità vengono applicate penne di pavone o di fagiano, assieme a numerosi scialli e nastri di raso colorato che durante la danza costituiscono un ulteriore elemento coreografico. Ogni cappello presenta una dominante di colore e di motivi che lo rendono unico. I Laché di Romeno eseguono a tutt’oggi in occasione del carnevale la loro danza tradizionale.

Laché, Bufon, Marascons  Val di Fassa (TN)

Il carnevale ladino di Fassa prevede una serie di maschere “guida” indispensabili alla formazione di un corteo mascherato: il Bufon, il Laché, i Marascons. La scultura delle splendide maschere lignee facères, opera di artigiani locali, occupa le settimane precedenti l’apertura del carnevale (16 gennaio).  La Mascherèda viene aperta dal Laché, che recita la formula d’ingresso; irrompe quindi il Bufon che provoca le sue vittime al limite dell’offesa giocando tanto su temi di secolare cultura misogina quanto su temi paesana attualità. Al termine si procede al ballo dei Marascons, (le grandi maschere) con le cinture cariche di campanacci di bronzo fatti risuonare a passi di danza.

Bej, Sapoeur, Carlisep Schignano (CO)

Contrapposizione fra i Belli, (i signori) e i Brutti (i poveri), entrambi con maschere lignee. I ricchi, detti Mascarun o Bej, indossano un gran cappello decorato con piume, fiori e nastri multicolori; sul petto, imbottito di foglie secche, portano orologi, collane, ciondoli e, legati alla cintura hanno dei campanacci di bronzo mentre in mano tengono degli oggetti che mostrano al pubblico con gesti teatrali. I Brutti si ricoprono di tute da lavoro e di pelli di pecora, sulle spalle portano delle gerle piene di rifiuti, sulla testa indossano grandi corna di bue: corrono senza tregua per le vie del paese facendo risuonare i loro campanacci di ferro, rotolandosi per terra e gettandosi al suolo come morti. La Ciocia, moglie e schiava di un bello, viene trascinata per le vie del paese, legata alla cintura del padrone. Il corteo viene aperto dai Sapoeur, gli zappatori, vestiti di pelli di pecora e con il volto annerito. La sera del martedì grasso appare, trascinato da una slitta, Carlisep, fantoccio che raffigura il Carnevale morente. Il tentativo di rianimarlo non riesce e quindi si decide di bruciarlo, ma a questo punto Carlisep  balza in piedi e scappa.